
Bordighera
Claude Monet, 1884, olio su tela, Art Institute of Chicago

Antico, sono ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare.
Come allora oggi la tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e svuotarsi cosi d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
Eugenio Montale, Mediterraneo (da Ossi di seppia, 1924)
“Caro Durand-Ruel, […] sto vivendo un’esperienza umana ed artistica ricca e forse irripetibile. La riviera ligure è rischiarata da un sole che modella le forme ed accarezza la natura, e le barche dei pescatori solcano le acque d’un mare verde-blu che non vi posso descrivere a parole. Acqua, fiori e poesia si confondono in un’armonia musicale di colori che i miei occhi non hanno mai incontrato. […] Inoltre per dipingere certi paesaggi bisognerebbe avere una tavolozza di gemme e diamanti. È mirabile.” Quali parole migliori se non quelle che Monet stesso dedica al proprio gallerista per descrivere l’incontro con il mare e la natura della Liguria. Claude Monet scopre Bordighera nel 1883, insieme all’amico Renoir, in un viaggio itinerante che li porta da Parigi fino a Genova. Il fascino che su di lui esercita la città ligure è tale da indurlo a ritornarvi l’anno seguente, in solitudine. Durante quest’ultimo soggiorno Monet realizza ben 38 opere, che rappresentano per lui un sofferto tentativo di catturare quanto più fedelmente possibile il rapimento che i suoi occhi e il suo cuore vivevano. In una lettera rivolta all’amata Alice Hoschedé, l’artista scrive: “Cara Alice, […] è tutto assai difficile da realizzare: queste palme mi fanno dannare e poi i motivi sono estremamente difficili da ritrarre, da mettere sulla tela. Qui è talmente folto dappertutto… È delizioso da vedere. Si può passeggiare indefinibilmente sotto le palme, i limoni e gli splendidi ulivi, ma quando si cercano dei soggetti è molto difficile. Vorrei fare degli aranci che si stagliano sul mare azzurro, ma non sono ancora riuscito a trovarne come voglio. Quanto al blu del mare e del cielo, riprodurlo è impossibile. Comunque, ogni giorno aggiungo e scopro qualcosa che prima non avevo saputo vedere. Questi luoghi sembrano fatti apposta per la pittura en plein air. Mi sento particolarmente eccitato da quest’esperienza e, dunque, penso di tornare a Giverny più tardi del previsto”. Monet lavora dunque en plein air, secondo i dettami impressionisti, combattendo una battaglia che contrappone la meraviglia disarmante di Bordighera e la continua, bruciante insoddisfazione suscitata dal non riuscire a ritrarla come vorrebbe. La tela qui presentata è specchio, manifestazione di quanto detto fin ora. Il pittore restituisce uno scorcio del borgo visto dall’alto; la natura, i meravigliosi pini marittimi dai rami flessuosi creano la cronice perfetta, lo scrigno che si dischiude su una perla luminosa, affacciata su un mare di un blu saturo, caldo, brillante. La pennellata veloce, il colore puro steso direttamente sulla tela, l’accostamento di colori forti, decisi: tutto è volto al tentativo di catturare quella luce vibrante, cangiante che avvolge un paesaggio che non può che lasciare senza fiato.